Una macchina fotografica tra di noi al posto di un bicchiere
Conversazione con Coline Kern

Nata nel 1988 Coline Kern è una giovane musicista compositrice e dj. Attiva in prima persona nella musica sotto il nome di P°ppermost, a capo di un concept group, i Mrs Echoes, è altresì una figura di punta delle notti parigine. Coline et les soliloques (DJ) suona al Truskel, al Tape, al Plastic, al Motel, al Ne Nous Fachons Pas e a Mains d'Oeuvres. Amica di Sébastien Mazière ha partecipato alla sua collezione Rendez-vous. Abbiamo deciso così di intervistarla...
Chorus una costellazione :
Si ricorda del giorno in cui ha conosciuto Sébastien ?
Coline Kern :
Un pomeriggio, mentre scendevo da rue Oberkampf, a Parigi, con un’amica, un ragazzo in camicia a fiori, una macchina fotografica a tracolla, un cappellino sulla testa e un sorriso stampato in volto scende dalla sua bici per salutarla. Lei fa le presentazioni, e dopo neanche pochi minuti avevamo già previsto di ritrovarci la sera stessa al Pop In [un simpatico bar parigino N.d.R.].
Le ha domandato subito di posare per le sue immagini ?
In effetti proprio la sera stessa !
E si ricorda di come ha fatto e di cosa ha risposto lei?
Si ricorda del giorno in cui ha conosciuto Sébastien ?
Coline Kern :
Un pomeriggio, mentre scendevo da rue Oberkampf, a Parigi, con un’amica, un ragazzo in camicia a fiori, una macchina fotografica a tracolla, un cappellino sulla testa e un sorriso stampato in volto scende dalla sua bici per salutarla. Lei fa le presentazioni, e dopo neanche pochi minuti avevamo già previsto di ritrovarci la sera stessa al Pop In [un simpatico bar parigino N.d.R.].
Le ha domandato subito di posare per le sue immagini ?
In effetti proprio la sera stessa !
E si ricorda di come ha fatto e di cosa ha risposto lei?
Sì. Stavamo scherzando tutti e tre insieme, si rideva molto, e ci parlò di una serie di fotografie sul tema degli anni ’50 che aveva in testa e per la quale aveva pensato anche a me vedendomi! Trovavo talmente affascinante il suo modo di domandarmelo che ho subito detto di sì.

Sébastien era qualcuno che emanava calore e una gentilezza così profondi che sembrava logico accettare poiché si era subito a proprio agio con lui. Non sembrava né sicuro di sé, né intimidito, introduceva il soggetto con semplicità e poneva la domanda nello stesso modo. Ci sono persone così con cui tutto sembra semplice e incantevole, dava voglia di seguirlo.
Che cosa la affascinava di più, voglio dire ancor prima d’aver visto le immagini che ha poi fatto con lei, quando eravate insieme? Riuscirebbe a descrivercelo?(Restiamo ancora un poco alla descrizione dell’atto fotografico. In silenzio? Parole? Aveva la sensazione che quando era contento di quel che percepiva attraverso l’obiettivo si vedesse? Come riusciva a tirar fuori i suoi soggetti dal loro universo interiore? Come riusciva a far sì che lei fosse così presente nelle sue fotografie? Ne ha un’idea? Che rapporto si stabiliva con lo spazio che vi circondava? Restava parecchio tempo prima di scattare una foto? Chi l’aveva scelto quello spazio? E come? C’è stato bisogno di aspettare a lungo prima di trovare i posti giusti?)
E’ lui che aveva scelto i posti nei quali mi portava, ci sono voluti mesi prima che mi richiamasse per fare questa seduta di scatti, ci vedevamo ma non menzionavamo mai la cosa, non ci pensavo quasi più. A un certo punto, credevo persino che avesse scherzato, ma qualche mese più tardi, mi richiamò per propormi di fare queste foto.
E le luci, la composizione, la forma?
Contava molto sulla luce, eravamo nel mese di maggio e il tempo era capriccioso, ma quel giorno la luce era dolce e luminosa ed era splendido, rapito.
Tutto quel che so è che amava molto quegli scarpini e che quando la seduta fotografica si spostò all’interno (in una lavanderia del CXX arrondissement) si mise a fotografare senza posa, come se fosse lì che bisognava farlo. Tutto quel che so è che malgrado il fatto che il suo lavoro sembrasse istintivo, poiché mi lasciava libera dei miei fatti e dei miei gesti, sapeva perfettamente quel che faceva e come farlo.
Spesso delle foto di abiti un Sébastien dicono tutto di una persona o di un corpo senza che li si veda. È stupefacente, non trova?
A questo proposito non so bene che rispondere se non che Sébastien mi aveva fatto un sacco di domande sul mio guardaroba e l’aveva legato al fatto che trovava che avessi un’aria da Françoise d’Orléac, come se fossero questi gli ingredienti che in quel caso sarebbero forse bastati alla composizione.
E in seguito, più tardi, quando ha visto le goto che aveva fatto? Riesce a ricostruire quali siano state le sue sensazioni? Stupore? Felicità? Meraviglia?
Le ho ricevute per così dire in differita, man mano che il suo lavoro andava avanti, accompagnate dalle sue impressioni e dalla stessa domanda che ritornava: “ Che cosa ne pensi? Aspetto le tue impressioni, non esitare soprattutto a rendermene partecipe!”.
Ogni volta non mi aspettavo un risultato così, che fosse al livello dei colori o a quello della composizione, o del recadrage, trasformava i luoghi in emozioni.
Ha avuto la fortuna di avere l’amicizia di Sébastien, può parlarci del suo amore per l’arte che scaturisce così profondamente – per noi che non l’abbiamo conosciuto – dalle sue fotografie?
Parlavamo spesso; di cinema soprattutto, essendo io una grande fan di Godard e di Truffaut, le nostre discussioni ruotavano intorno a Françoise d’Orléac, Anna Karina, il modo di recitare, la semplicità delle emozioni, la bellezza delle immagini e la gioia che ci procuravano le storie.
Parlavamo anche molto di musica, ovviamente, poiché io sono una Dj e molto legata alle sonorità degli anni ’60, un’altra cosa che condividevamo
Insieme avete fatto un solo ciclo di fotografie ?
Benché fossimo in ballo per un’altra collezione nella quale dovevo apparire, la nostra collaborazione si interruppe con la sua ultima collezione, l’unica volta che ho posato per lui è stato per « Le Rendez-vous ».
Le ho ricevute per così dire in differita, man mano che il suo lavoro andava avanti, accompagnate dalle sue impressioni e dalla stessa domanda che ritornava: “ Che cosa ne pensi? Aspetto le tue impressioni, non esitare soprattutto a rendermene partecipe!”.
Ogni volta non mi aspettavo un risultato così, che fosse al livello dei colori o a quello della composizione, o del recadrage, trasformava i luoghi in emozioni.
Ha avuto la fortuna di avere l’amicizia di Sébastien, può parlarci del suo amore per l’arte che scaturisce così profondamente – per noi che non l’abbiamo conosciuto – dalle sue fotografie?
Parlavamo spesso; di cinema soprattutto, essendo io una grande fan di Godard e di Truffaut, le nostre discussioni ruotavano intorno a Françoise d’Orléac, Anna Karina, il modo di recitare, la semplicità delle emozioni, la bellezza delle immagini e la gioia che ci procuravano le storie.
Parlavamo anche molto di musica, ovviamente, poiché io sono una Dj e molto legata alle sonorità degli anni ’60, un’altra cosa che condividevamo
Insieme avete fatto un solo ciclo di fotografie ?
Benché fossimo in ballo per un’altra collezione nella quale dovevo apparire, la nostra collaborazione si interruppe con la sua ultima collezione, l’unica volta che ho posato per lui è stato per « Le Rendez-vous ».
Nei ritratti di Sébastien, anche nei più solitari o i più tristi c’è sempre, ci pare, un’energia che si sprigiona dall’interno, una sorta di fiducia infinita in quel che gli capitava sotto gli occhi. Ci è capitato di evocare a questo proposito persino la parola ottimismo, oggi così dolorosa. Siamo in errore o aveva la stessa sensazione davanti alle sue fotografie?
Sébastien sembrava concretizzare un’immagine che aveva in testa quando faceva delle foto e diceva: “E’ perfetto!” come se avesse saputo in anticipo quel che voleva e lo ottenesse in seguito. Era molto strano perché in partenza, non potevamo assolutamente sapere cosa come si sarebbero sviluppate le cose, e tuttavia…
C’è una specie di grazia o di festa fragile del vedere attraverso la quale faceva emergere le cose che amava. Siamo in errore?
Penso che Sebastien avesse una maniera di vedere le cose, le persone, tutta sua che scaturisce assolutamente attraverso le sue stampe. Guardare le sue foto è un po’ vedere il mondo come lo percepiva, attraverso i suoi occhi. Arrivava a far condividere così tanto, grazie all’amore che aveva per la fotografia, non vedo altra risposta !
Come se vi avesse tradito non accogliervi nelle immagini come siete. E al tempo stesso però non c’è un dislivello che ha saputo creare tra le vostre immagini e voi? Lei si riconosce nelle sue immagini? Quale parte che ama di sé o di cui è curiosa riconosce in queste immagini che le rimangono?
Non penso che non ci accogliesse come eravamo, ma che ci offrisse una visione di noi diversa da quella che avevamo noi stesse: la sua. Nelle sue fotografie, riconosco la mia spontaneità, la mia timidezza e una grande tristezza dovuta alla mia storia privata. Sembrava captare alcune emozioni che ci abitano, da lì una certa indecenza artisticamente magistrale.
Lisa Fossengrives, che posava per dei grandi fotografi - Irving Penn o Blumenfield per esempio - e che ne ha fatto la fortuna a proposito della sua esperienza da modella parlava d’un prolungamento della danza. Utilizzava un’espressione come “una danza immobile” o parlava di “vibrazioni affettive” e lei come ha vissuto la sua esperienza con Sébastien?
Il momento tra l’inizio della seduta e la fine era un’esperienza davvero particolare, dalla quale sono uscita tutta scombussolata, come dopo aver condiviso qualcosa di molto forte. Non so come spiegare tutto questo. Penso che il termine “vibrazioni affettive” che ha impiegato Lisa Fossengrives sia la parola giusta, che riassume tutto.
Un ritratto è una vera collaborazione tra l’artista e il suo modello. Realizzare una bella immagine non dipende dal solo fotografo. Che rapporto ha con le fotografie che Sébastien le ha fatto e più in generale?
Penso che il suo lavoro traduca la fiducia e i rapporti particolari che c’erano tra di lui e ognuno dei suoi modelli.
Ci teniamo,Coline Kern, a ringraziarla per la gentilezza con la quale ci ha accordato quest’intervista..
Sébastien sembrava concretizzare un’immagine che aveva in testa quando faceva delle foto e diceva: “E’ perfetto!” come se avesse saputo in anticipo quel che voleva e lo ottenesse in seguito. Era molto strano perché in partenza, non potevamo assolutamente sapere cosa come si sarebbero sviluppate le cose, e tuttavia…
C’è una specie di grazia o di festa fragile del vedere attraverso la quale faceva emergere le cose che amava. Siamo in errore?
Penso che Sebastien avesse una maniera di vedere le cose, le persone, tutta sua che scaturisce assolutamente attraverso le sue stampe. Guardare le sue foto è un po’ vedere il mondo come lo percepiva, attraverso i suoi occhi. Arrivava a far condividere così tanto, grazie all’amore che aveva per la fotografia, non vedo altra risposta !
Come se vi avesse tradito non accogliervi nelle immagini come siete. E al tempo stesso però non c’è un dislivello che ha saputo creare tra le vostre immagini e voi? Lei si riconosce nelle sue immagini? Quale parte che ama di sé o di cui è curiosa riconosce in queste immagini che le rimangono?
Non penso che non ci accogliesse come eravamo, ma che ci offrisse una visione di noi diversa da quella che avevamo noi stesse: la sua. Nelle sue fotografie, riconosco la mia spontaneità, la mia timidezza e una grande tristezza dovuta alla mia storia privata. Sembrava captare alcune emozioni che ci abitano, da lì una certa indecenza artisticamente magistrale.
Lisa Fossengrives, che posava per dei grandi fotografi - Irving Penn o Blumenfield per esempio - e che ne ha fatto la fortuna a proposito della sua esperienza da modella parlava d’un prolungamento della danza. Utilizzava un’espressione come “una danza immobile” o parlava di “vibrazioni affettive” e lei come ha vissuto la sua esperienza con Sébastien?
Il momento tra l’inizio della seduta e la fine era un’esperienza davvero particolare, dalla quale sono uscita tutta scombussolata, come dopo aver condiviso qualcosa di molto forte. Non so come spiegare tutto questo. Penso che il termine “vibrazioni affettive” che ha impiegato Lisa Fossengrives sia la parola giusta, che riassume tutto.
Un ritratto è una vera collaborazione tra l’artista e il suo modello. Realizzare una bella immagine non dipende dal solo fotografo. Che rapporto ha con le fotografie che Sébastien le ha fatto e più in generale?
Penso che il suo lavoro traduca la fiducia e i rapporti particolari che c’erano tra di lui e ognuno dei suoi modelli.
Ci teniamo,Coline Kern, a ringraziarla per la gentilezza con la quale ci ha accordato quest’intervista..
intervista realizzata da Dide per Chorus Una Costellazione
luglio 2008
luglio 2008
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